Che il viaggio ti sia utile

La newsletter teatrale di Casa Fools

Ti capita mai di rifare una stessa cosa dopo un po’ di tempo
e di viverla in maniera completamente diversa?

Rivedere lo stesso film, rileggere un libro, visitare una città,
tenere una conferenza, partecipare ad un evento…

Può accadere di vivere l’esperienza in maniera diversa, inaspettata,
non preventivata; questa diversità ci racconta chi siamo diventatə nel frattempo.

Nel fra-tempo, tra le pieghe del tempo.

L’Odissea ha ispirato moltissimi artisti, iniziamo da Giorgio De Chirico,
questo è “Il Ritorno di Ulisse”

Luigi, Roberta e Oreste in questi giorni hanno riportato in scena “Io sono Ulisse”.

Uno spettacolo nato a.C. (Avanti Covid) che racconta l’Odissea come un rito di passaggio.

Rimettendolo in scena quante cose sono cambiate! Per noi e per il pubblico
che ha rivisto lo spettacolo. Quel che pensavamo di aver capito anni fa, sull’Odissea, adesso appare parziale.

L’Odissea è una storia che non morirà mai: ha quasi 3.000 anni e non accenna a sbiadire.
Tremila anni.
Tra le storie più longeve dell’umanità.

Questo racconto ha assistito all’ascesa e caduta degli dei e degli imperi, della scrittura, di Gesù, di Dante, Leonardo, Napoleone; è sopravvissuta ai roghi, alla bomba atomica, all’avvento di internet, fino a spopolare su TikTok.

Una di quelle storie che studi, pensi di aver capito, poi passano gli anni, la rileggi e ti rendi conto che non avevi capito. Passano altri anni, rileggi
e ti rendi conto ancora una volta che non avevi capito. Fino alla fine.

PERCHÉ?

”I pretendenti Recit dell’Odissea” racconta il massacro dei pretendenti di Penelope
al ritorno di Ulisse, di Gustave Moreau.

L’Odissea è la storia dell’esistenza umana stessa. Possono passare altri tremila anni, resterebbe invariata la sua forza.
È la storia di tutti gli esseri umani e dei momenti che, prima o poi, ci troviamo ad affrontare.

Dal momento in cui da adolescenti ci dobbiamo emancipare dai nostri genitori, dalla loro storia e dalle aspettative, diventando adulti, capaci di seguire la nostra strada e lottare per essa, ritrovandoci così fianco a fianco ai nostri genitori,
non più figliə ma adultə alla pari, come accade a Telemaco.

O quando bisogna difendere il nucleo degli affetti, il cuore, la casa, dalla solitudine, dalla prepotenza, dalla distanza, come fa Penelope.

E Ulisse?

Questo è Newell Convers Wyeth – “Polyphemus, The Cyclops”
Ogni sua tappa racconta un momento cruciale dell’esistenza, comune a tutti gli umani. Ulisse non è un personaggio unitario, ma l’insieme di molte esistenze
e le disavventure che vive sono le medesime di noi persone del 2024.
Sembra incredibile, eppure è così. Facciamo qualche esempio.

Il Ciclope è un mostro gigante e violento, che fa tremare la terra, solitario, senza legge, senza civiltà, cannibale e con un occhio solo. Rappresenta la brutalità, la cecità della violenza incontrastata che, senza pietà verso gli umani, li inghiotte.

La simbologia è chiara, ma perchè un occhio solo?

Da dove deriva questa idea del monocolo così riuscita da ispirare moltissime altre figure con un occhio solo, per millenni, fino a Monsters & Co?

Provate ad avvicinare il viso a un’altra persona, fino a far toccare i vostri nasi, quanti occhi vedete?

Esatto, uno.

Il ciclope nasce quando da infanti vediamo gli adulti immensi e talmente vicini da distinguere un occhio solo.

Può mai morire un mito che affonda così radicalmente nella nostra concreta umanità?

John William Waterhouse – “Ulysses and the Sirens”
E le Sirene, sono ancora un mito presente? Chi sono?

Uccellacci predatori giganteschi con viso di ragazza, (sì le sirene sono così, non mezzi pesci come la sirenetta), che ammaliano i passanti cantando e, ai loro piedi, si accatastano cadaveri in putrefazione.

Anche qua la prima simbologia è chiara: sono le cose che ci incantano e ci sospendono alla vita, sono le dipendenze da droghe, alcol, videogiochi, scommesse, amori; sono le ossessioni.

Ma così come cambiamo noi, cambiano le sirene secolo dopo secolo.
L’altro giorno un amico scrittore pubblicava questo:

“In questi mesi di angosciante, tristissima, incattivita, dolorosa, deprimente, sfiancante badanza dei genitori in demenza senile (periodo in cui quasi tutti dobbiamo passare) ripenso spesso all’Ulisse di Omero: il canto delle Sirene sembra dolce e attraente (l’amore filiale) ma ti attrae per divorarti (la rabbia per la loro vecchiaia, da loro quasi sempre inaccettata):
O TI METTI I TAPPI DI CERA NELLE ORECCHIE PER NON SENTIRLO (come Ulisse fa mettere ai suoi marinai),
O TI FAI LEGARE CON CENTO CORDE ALL’ALBERO MAESTRO DELLA NAVE, perché sei affettuosamente portato ad ascoltarlo, ma ti farà impazzire mentre lo senti!”
Quale altra storia è capace di aderire così profondamente alla nostra fragile esistenza?

“Odisseo e Tiresia nel regno dei morti”, Vaso greco del IV secolo a.C.
Ogni singola vita è un’Odissea: e si è Telemaco, Penelope, Ulisse a seconda di quel che stiamo vivendo.

Purtroppo il poema non dà grosse soluzioni, non è che leggendo s’impari qualche trucco, anzi, i protagonisti fanno un sacco di errori e, quasi sempre, optano per la scelta sbagliata.

Ma è rincuorante sentire che non si è solə o perseguitatə dalla sfortuna:

è solo la vita.

Passano i millenni e rimaniamo sempre gli stessi animali impauriti, in balia di una fittizia onnipotenza, temendo la morte.

In qualunque tappa tu sia della tua odissea,

che il viaggio ti sia utile.