Buongiorno,
qui a Torino è arrivato il monsone tipico della stagione tropicale.
Intanto è appena finito il Salone del Libro, tu ci sei stato?
Durante questi giorni di tumulto letterario è venuta fuori una storia che ti vorremmo raccontare.
Cominciamo da un concetto fondamentale: non è vero ma ci credo.
Ti presentiamo un pittore polacco poco conosciuto: Jacek Malczewski (1854-1929). Questo dipinto s’intitola Melancholia
La notizia è la seguente:
Un contadino pugliese di 89 anni, dopo aver perso il suo libro preferito, lo ha riscritto a memoria per regalarlo ai figli prima di morire. Il libro in questione è Guerrino detto il Meschino, ed è lungo più di 600 pagine…” etc..
Che storia commovente!
Questa notizia dobbiamo assolutamente raccontarla nella Lettera, ci siamo detti, partendo alla ricerca di informazioni attendibili che potessero confermare la storia e dessero qualche informazione in più.
Non ne abbiamo trovate! Nessuna notizia attendibile, in alcuni articoli viene citato il caso ma con contorni sfumati.
Probabilmente è finta, o è una leggenda, o una storia che si basa su qualcosina di vero.
Che peccato!
Anche se… Non è vero, ma ci vogliamo credere!
Quest’opera s’intitola: Błędne koło, Circolo vizioso. Allegoria del ruolo dell’artista. Il lato sinistro simboleggia l’estasi sensuale, mentre il lato destro, scuro, rappresenta le paure e le ansie.
Cosa ci ha commosso di questa storia?
L’idea che quest’uomo abbia investito così tanto impegno, amore, dedizione per lasciare a qualcuno che ama qualcosa che per lui è davvero prezioso.
Un’eredità culturale, spirituale, un’eredità umana.
Mettiamo pure che la riscrittura del contadino fosse raffazzonata, imprecisa, piena di errori grammaticali: il valore ne avrebbe risentito? Probabilmente no.
Perché è il tempo, l’amore, la dedizione che rendono preziose le cose.
Certo se ti lasciano tre appartamenti in centro a Milano ti senti un pochino più fortunato di chi ha avuto in eredità un libercolo scritto a mano, ma il guaio è proprio quello di mettere in contrapposizione queste due cose: i soldi e l’amore.
Come quando si domanda: vuoi più bene a mamma o a papà?
L’Amleto Polacco. Questo dipinto raffigura Aleksander Wielopolski, un pittore dilettante, che indossa una cintura di munizioni carica di tubetti di vernice e si trova di fronte a una scelta tra due ideali della Polonia: quella del passato, con le mani incatenate e una corona di spago, e la nuova nazione rivoluzionaria, che si libera dalle sue catene. Il dilemma tra la necessità di agire e la necessità di contemplare è simboleggiato dalla margherita.
Quando Ulisse torna, dopo vent’anni, dal padre Laerte, il padre non lo riconosce.
La guerra, le sofferenze, il tempo lo hanno troppo cambiato.
Allora Ulisse, per essere riconosciuto, va da suo padre e lo trova nel campo dove giorno e notte lavorava per lasciarlo in eredità.
Davanti a quel giardino rigoglioso Ulisse racconta di come il padre Laerte gli avesse insegnato i nomi degli alberi. Ora, a distanza di vent’anni, erano diventati un vero e proprio frutteto.
Laerte, dunque, lo riconosce, non riesce a parlare, piange, e abbraccia il figlio.
Laerte non gli ha lasciato in eredità solo degli alberi da frutto, ma il nome delle cose, la conoscenza della natura.
E noi?
Cosa lasceremo a chi amiamo?
Quale eredità umana?
Secondo i sociologi e i filosofi viviamo l’epoca del nichilismo, dove il futuro è sgretolato, il presente è inconsistente, il passato inutile.
Alla luce di questa condizione, cosa possiamo lasciare?
Di quale eredità siamo capaci?
Ma è proprio necessario lasciare un’eredità?
E poi, a chi?
Con queste domande ci siamo messi a pensare a quel che facciamo a Casa Fools.
Che beffa. Sai perchè?
Eccolo qui il buon vecchio Jacek, nel suo Autoritratto con giacinti. Tra i maggiori pittori simbolisti polacchi, morì piuttosto giovane. Se vuoi dare uno sguardo alle sue opere guarda qui.
Una vita dedicata al teatro, che non lascia alcuna traccia materiale.
Di quanto fatto in questi anni si conserva qualche video di spettacolo, qualche foto, costumi impolverati, maschere macchiate di trucco e poco altro.
Non lasciamo al mondo un quadro che tra cento anni potranno buttare o adorare, una scultura, un romanzo, una poesia, un palazzo, una foto…
Costruiamo ciò che non resta, che ha bisogno dell’esperienza diretta, della non riproducibilità, dell’effimero.
Un fare senza eredità.
Eppure…
Il quadro, la scultura, il romanzo, il palazzo, la foto… sono tutte eredità “distruttibili”: un terremoto, un incendio, una guerra, un’inondazione, l’incuria, possono annientare anche queste eredità materiali.
Il teatro no.
Può crollare l’edificio, il teatro rimane in piedi lo stesso; un gruppo di persone può benissimo sedersi sulle macerie e mettere in scena una storia. Senza i costumi andati perduti o le scene bruciate, solo con il loro corpo, la voce, e il misterioso miracolo che accade ogni volta che uno spettacolo ci sospende dal presente, dandoci un assaggio di eternità.
Il teatro nasce e muore ogni volta che gli esseri umani si incontrano.
Non lascia nulla che si possa realmente distruggere o toccare eppure siamo sicuri che, tra mille anni, il teatro sarà ancora vivo, alimentato dalla sua stessa eredità, cioè: noi stessi.
E tu, che eredità stai lasciando?
Un suo ultimo dipinto: Destino, 1917.
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